Come molti mobili sono calchi del corpo umano, forme vuote per accoglierlo, così tutto l’ambiente finisce col diventare un calco dell’anima». La citazione di Mario Praz esprime al meglio la filosofia di Maria Pia Dal Bianco, architetto dello Studio A&A di Torino, che seguì la ristrutturazione di questa mansarda nel 1997, per una cliente, e a cui tornò nel 2002, da proprietaria.
Interpretare gli spazi
L’abitazione è un esempio di come gli stessi 120 metri quadri possano essere interpretati da con rese personalizzate, legate a gusti e necessità di anime diverse. Quella di Maria Pia, quando ha preso casa qui, ha spalancato lo spazio integrando le aperture presenti con altre finestre per tetti VELUX, per assicurarsi una visuale d’eccezione sulla Mole.
«Nella realizzazione degli allestimenti museali di cui mi occupo, l’involucro non deve sovrastare l’opera da esporre ma valorizzarla. Lo stesso vale per l’architettura d’interni: l’architetto deve interpretare gusti e sensibilità di chi abiterà la casa, senza imporre se stesso, ma trasformando lo spazio nel luogo ideale in cui vivere», racconta Maria Pia dalla sua luminosa e accogliente mansarda.
Il primo intervento di ristrutturazione
«Oggi! Non era così quando la realizzai intorno al 1997. Io ne avrei fatto un unico spazio, avrei aperto tutto ma al primo posto c’erano esigenze della mia cliente. Doveva viverci da sola, voleva due camere, due bagni e poi soggiorno, sala da pranzo e cucina. Le Corbusier diceva che non si può realizzare un progetto prima di conoscere e capire città, clima, ambiente, proprietario. Si partiva da una casa torinese ottocentesca, con una sopraelevazione degli anni ’40-‘50, immersa in un quartiere ancora oggi artigiano, antico, centrale, ancora genuino e pieno di fascino. Mettemmo mano alla facciata del fabbricato e in sei mesi fu realizzato l’appartamento nel sottotetto, per il quale chiedemmo un cambio di destinazione. La copertura fu rifatta completamente, mantenendo le antiche travi, che furono integrate con alcune nuove. Furono inserite quattro finestre per tetti VELUX – non abbastanza per me, inutile dirlo – e scelti arredi prevalentemente antichi».
Il secondo intervento e le nuove finestre
Lo scenario cambiò completamente quando, cinque anni dopo, l’arch Dal Bianco venne a vivere qui. «Appena rilevata la mansarda, chiesi l’autorizzazione per integrare i lucernari, duplicando il numero di finestre per tetti. Ne inserii anche due sovrapposte nel magnifico tetto spiovente della sala da pranzo. Non ci fu bisogno di modificare le campiture: si trattò di un semplice adattamento. In tre mesi cambiò tutto: la luce era ovunque».
Un ambiente ideale dove Maria Pia, immersa nella musica classica che da sempre l’aiuta a pensare, elabora i propri progetti. Ha forato il tetto in punti opportuni proprio per appagare il proprio bisogno di aria, di connessione tra esterno e interno. «Amo i materiali naturali come la pietra di Luserna, usata per i marciapiedi. La metto anche in interno perché collega il dentro al fuori. Per finire colori chiari, che riflettono meglio la luce e specchi: la loro inclinazione cattura e porta in casa la luce che entra dalle aperture nel tetto. Le mansarde sono belle anche per le travi: il fascino del legno consente di unire moderno e antico».
Personalizzare gli ambienti
Secondo l’architetto, in un ambiente di questo genere la struttura deve essere lineare per dare modo a chiunque di esprimere se stesso. Lo stile e il carattere si fanno con gli oggetti. «Sono contraria all’arredamento scelto dall’architetto senza coinvolgere il proprietario; l’impronta va studiata insieme; se le scelte devono essere condivise.
In che modo ha personalizzato l’ambiente? «Ho inserito gli arredi che più amavo e con i quali sapevo che mi sarei sentita a mio agio. Perché in bagno non ci deve essere un vaso del Quattrocento, magari accostato a vasi del mercato, se i colori si armonizzano o un tappeto persiano un po’ consunto ma bellissimo? Chi ha detto che in cucina non si può mettere un Piranesi o che i quadri non possono stare ad altezza terra? La scrivania antica della nonna va benissimo come tavolo da cucina. La casa è la propria storia. Il mio divano in pelle bianca di Le Corbusier è graffiato dal gatto ma un luogo come la mansarda è gradevole anche con qualche segno del tempo. Per quanto mi riguarda, meno cose ci sono meglio è, ma col tempo si aggiungono oggetti che testimoniano i cambiamenti della nostra vita».
Ha sempre abitato in mansarde o questa è la sua prima volta? «Non ho un buon rapporto coi piani intermedi: sono passata dal ground zero della mia prima abitazione, al tredicesimo piano; poi ho abitato in una piccola casa con giardino e infine sono approdata qui. E’ una posizione impagabile: quando guardi fuori vedi il cielo, la luna, le stelle, la Mole. Quando c’è la neve ci sei proprio dentro e vivi le stagioni: adesso la mattina a svegliarmi c’è l’usignolo».
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